Dopo anni di battaglie legali, un cittadino piemontese affetto da focomelia ha ottenuto il riconoscimento del diritto a un risarcimento da parte dello Stato, a seguito dell’assunzione in gravidanza da parte della madre di un farmaco a base di talidomide, vietato in Italia dal 1962. La somma riconosciuta ammonta a un milione di euro per arretrati, oltre a un vitalizio di 1.900 euro ogni due mesi e otto anni di interessi.
Il farmaco, un anti-emetico ampiamente prescritto tra gli anni ’50 e ’70 per trattare nausea e vomito in gravidanza, si è rivelato successivamente estremamente dannoso per il feto, provocando gravi malformazioni agli arti come amelia, emimelia e focomelia. Nonostante il divieto, il medicinale continuò a circolare sotto forma di preparato galenico, e fu somministrato anche anni dopo il ritiro ufficiale.
Nel caso specifico, la correlazione tra la malformazione e l’assunzione del farmaco è stata riconosciuta solo dopo una lunga trafila legale, culminata in una sentenza favorevole sia in primo che in secondo grado. Fondamentale, in questo iter, è stata l’esclusione dell’origine genetica della patologia attraverso approfondite indagini genetiche.
Nonostante la sentenza esecutiva, il risarcimento non è ancora stato corrisposto. Il ritardo da parte del Ministero della Salute potrebbe ora portare a un nuovo ricorso, questa volta davanti al TAR.
Il caso rappresenta una tappa importante nella lunga vicenda giudiziaria che coinvolge le vittime del talidomide, e pone nuovamente l’accento sull’importanza del riconoscimento dei diritti per chi ha subito gravi danni a causa di farmaci non sicuri.