Dal 2006 al 2009, una donna telefonava anonimamente, spesso di notte, a una famiglia, spiegando di aver iniziato a causa di “incomprensioni lavorative” e dell’antipatia verso una collega, sua vicina di casa, negli uffici del Comune di Milano. Questa famiglia, composta da marito, moglie e figlia, ha subito molestie per anni.
Già condannata nel 2015 per molestie e lesioni personali, la donna è stata recentemente condannata in sede civile. La giudice della decima sezione civile ha stabilito un risarcimento totale di 41mila euro, comprendente 15mila euro dalla sentenza di secondo grado e più di 8mila euro per ciascun membro della famiglia.
Assistiti dall’avvocato, i familiari hanno presentato certificati medici per ansia e depressione causati dalle telefonate minacciose, caratterizzate da inquietanti respiri. Dopo la denuncia, la molestatrice è stata identificata dai tabulati telefonici. Nei processi penale e civile, ha cercato di minimizzare, sostenendo di non aver compreso la gravità delle azioni, e la difesa ha argomentato che la famiglia avrebbe potuto staccare la linea telefonica. Il giudice civile ha respinto tale ipotesi, riaffermando il diritto a usare la linea telefonica senza interferenze, giorno e notte.