Una giovane donna di 28 anni, residente in Lombardia, è morta nel 2021 dopo due anni di calvario a seguito di un’encefalite da herpes.
Il medico che la dimise dal pronto soccorso con una diagnosi di “crisi d’ansia” è ora a processo. La difesa sostiene che gli esami effettuati non indicavano problemi neurologici, ma quando la giovane arrivò in un altro ospedale quattro giorni dopo, alla madre fu detto che il cervello della figlia era gravemente compromesso.
Nei primi giorni dopo le dimissioni, la giovane appariva disorientata e confusa, segni che col tempo si aggravarono fino a richiedere il ricovero in terapia intensiva.
Qui le vennero somministrati farmaci antivirali e subì una craniotomia decompressiva. Nonostante i tentativi di riabilitazione, non riusciva più a parlare, ricordare e si muoveva con l’ausilio di deambulatori, fino al momento del decesso.
Il medico del pronto soccorso che la visitò inizialmente è ora imputato per non aver disposto approfondimenti nonostante i sintomi riportati in cartella clinica, tra cui febbre, forte cefalea, vomito e allucinazioni. La procura contesta un “irrecuperabile ritardo nella diagnosi”, che venne invece effettuata correttamente solo quattro giorni dopo in un altro ospedale.