Ricevere una diagnosi di tumore maligno è tra le esperienze più traumatiche che si possano affrontare. Ma quando quella diagnosi si rivela sbagliata, il dolore psicologico e il senso di smarrimento vissuti non possono essere semplicemente cancellati. È quanto accaduto a una giovane donna, allora venticinquenne, residente nel Trevigiano, la cui storia si è conclusa solo dopo una lunga battaglia legale, con il riconoscimento di un risarcimento per danno morale.
Tutto ha avuto inizio nel gennaio 2021, quando la donna, dopo la rimozione di un neo, si era sottoposta ad esame istologico presso due strutture private della zona. Il referto parlava chiaro: carcinoma sebaceo, una rara e aggressiva forma di tumore cutaneo. Una diagnosi pesantissima, che ha avuto un impatto devastante sulla sua vita personale e professionale.
Come raccontato alla stampa locale, nei giorni successivi la donna ha vissuto momenti di profonda angoscia, convinta di avere davanti a sé un futuro incerto, segnato dalla malattia. La paura l’ha spinta a chiedere un secondo parere, rivolgendosi a una struttura pubblica. Dopo circa venti giorni, l’azienda sanitaria ha fornito una nuova diagnosi, decisamente meno allarmante: si trattava infatti di un tricoblastoma, una lesione benigna della pelle.
Se da un lato il sollievo è stato immediato, dall’altro la consapevolezza di aver vissuto giorni terribili a causa di un errore medico ha lasciato cicatrici emotive profonde. La donna ha quindi deciso di agire legalmente contro le cliniche private responsabili della diagnosi errata. A distanza di quattro anni, il tribunale ha riconosciuto la gravità dell’accaduto, condannando le strutture sanitarie al risarcimento per il danno morale patito.
La sentenza rappresenta un importante precedente in tema di responsabilità medica, riconoscendo che il trauma psicologico derivante da una diagnosi infondata può avere effetti duraturi e profondamente invalidanti, anche in assenza di danni fisici diretti. Come sottolineato dalla stessa paziente, non si è trattato solo di un errore tecnico, ma di un’esperienza emotivamente devastante, vissuta nella solitudine e nella paura.
Un risarcimento economico, certo, ma soprattutto un riconoscimento ufficiale del dolore invisibile che può derivare da un errore diagnostico, e dell’importanza di un secondo parere medico quando si è di fronte a diagnosi gravi e potenzialmente irreversibili.
